Per quale ragione hai scritto Le Ragazze afgane?

Ho sempre adorato studiare i fattori umani e sociali. Nel mio Paese di origine, l'Iran, dopo secoli di immobilismo, dalla seconda metà del ventesimo secolo iniziano le migrazioni, soprattutto di giovani diplomati e laureati che vogliono specializzarsi, verso l'Europa occidentale e l'America del nord. Io stesso sono un immigrato. Alla fine degli anni Sessanta sono venuto in Italia con un visto per gli studi universitari; in altre parole sono entrato in questo Paese dalla porta principale. Ma, per non pesare troppo sulla mia famiglia, durante le vacanze estive sono andato per quattro anni a lavorare in Germania e nella Svizzera di lingua tedesca. In questi due Paesi, nelle case dello studente e nelle fabbriche, ho vissuto tra gli studenti e i lavoratori, tedeschi e immigrati dall'Europa meridionale. A quell'epoca tra i colleghi avevo raramente qualche turco, iraniano o afgano. Per questi motivi conosco le problematiche di chi vive all'estero, i pensieri e i sentimenti di un immigrato, e le sue difficoltà ad affrontare il convivere quotidiano con la popolazione locale e i padroni di casa.
È ovvio che queste difficoltà sono ancora maggiori per un profugo, perché spesso non ha lasciato niente dietro di sé e non ha la possibilità di ricevere sostegno finanziario dai parenti; spesso poi per lui è impossibile tornare a casa. All'inizio degli anni ottanta, dopo l'invasione sovietica e la resistenza popolare, questa sorte è toccata a milioni di afgani, costretti a fuggire dalle loro case e a trovare la pace e la protezione nei due Paesi musulmani confinanti: l'Iran e il Pakistan. Le province nord-occidentali afgane, fino alla meta del Settecento, facevano parte integrante del grande Khorassan, la regione dove io sono nato e cresciuto, e ho sempre seguito con vivo interesse le notizie di questo grande esodo. All'epoca ero un importatore di tappeti persiani in Italia. Durante un giro nella mia regione alla ricerca di tappeti tribali, in un campo allestito per i profughi afgani, ho avuto l'occasione di conoscere alcune tessitrici e le loro famiglie. Ho ascoltato la storia della loro fuga, le loro sofferenze e le loro vicende famigliari; ho percepito le loro ansie e i loro sentimenti; ho ascoltato le loro speranze e i loro progetti per il futuro. Abbiamo scambiato idee e informazioni. Non ho percepito alcuna differenza sostanziale tra loro e i miei compatrioti iraniani. Anzi, per quando riguarda le donne, al contrario dello stereotipo della figura femminile afgana che immaginavo, sono stato colpito dalla tenacia, dalle forte personalità e dalla creatività di alcune giovani che ho incontrato in questo viaggio. Ho ascoltato le loro storie e ho acquistato i loro tappeti, che ancora oggi fanno parte della mia collezione.
Io di solito scrivo articoli e saggi ma, a distanza di trent'anni da quell'incontro del maggio '81, ho percepito tutta l'attualità di quella storia; a ciò va aggiunto l'interesse che ho sempre nutrito per questo tema, ed ecco perché ho deciso di scrivere questo racconto e di narrare le storie delle 'ragazze afgane' del campo di Dogharon.

Da una conversazione con Hossein Fayaz de "Le ragazze afgane", di Hossein - Fayaz Torshizi, Fayaz Editore, Morciano di Romagna (RN), Italia, 2013.Copyright: Hossein Fayaz www.hosseinfayaz.com.